Test genomico per le pazienti con tumore al seno

Lo Stato italiano ha messo a disposizione fondi per il rimborso di test genomici a determinate categorie di pazienti

In Italia vengono diagnosticati ogni anno circa 55.000 nuovi tumori mammari e circa una donna su 5 ha le caratteristiche per essere sottoposta ai test. Si tratta di oltre 10.000 donne per le quali questi test genomici possono significare una terapia più mirata e precisa e in certi casi la possibilità di evitare un lungo e pesante percorso di chemioterapia. I test genomici, che rientrano nell’oncologia di precisione, sono raccomandati per alcune pazienti sia dalle linee guida nazionali sia da quelle internazionali. L’introduzione dei test genomici e la possibilità di effettuarli gratuitamente grazie al fondo messo a disposizione dallo Stato rappresenta un enorme passo avanti.

Con la legge di bilancio del 2020 sono stati stanziati 20 milioni di euro in un fondo specifico per il rimborso di test genomici effettuati da pazienti affetti da specifici tipi di tumore della mammella. In un decreto del ministro della salute, pubblicato in Gazzetta Ufficiale a luglio 2021, sono state quindi spiegate le modalità e i requisiti necessari per accedere a tali fondi. Più precisamente, il decreto ha reso i test genomici rimborsabili in tutta Italia per le pazienti con tumore del seno in fase iniziale responsivo alle terapie ormonali e negativo per HER2, visti i benefici degli esiti di tali test per questa categoria di pazienti, dimostrati da numerosi studi scientifici.

Ciononostante, nel corso dell’edizione 2021 del congresso della Associazione italiana di oncologia medica (AIOM) numerosi esperti hanno segnalato il fatto che in diverse zone d’Italia ci sono ancora ostacoli all’accesso a questi test per tutte le donne che ne avrebbero diritto e potrebbero trarne vantaggio. In un documento di maggio 2021, gli esperti di AIOM hanno descritto in dettaglio i test genomici oggetto del fondo recentemente stanziato dallo Stato. Queste analisi consentono di misurare il livello di espressione di un gruppo di geni che, valutati nel loro insieme, permettono di capire meglio quale sia il rischio individuale di andare incontro a una recidiva, ovvero a un ritorno della malattia, dopo un intervento chirurgico iniziale.

Come riportato nel documento, attualmente sono cinque i principali test disponibili per il tumore della mammella, già in uso secondo criteri e regolamentazioni differenti in diversi Paesi. In Italia uno dei più comuni è il test chiamato Oncotype DX, che analizza l’espressione di 21 geni (16 legati al tumore mammario e 5 geni di controllo) partendo da tessuto tumorale conservato in paraffina.

I dati mostrano che, analizzando l’espressione di una serie ben definita di geni all’interno delle cellule tumorali (diversi per numero e tipo a seconda del test), è possibile prevedere il rischio di recidiva del tumore nelle categorie di pazienti descritte sopra. I risultati possono aiutare gli specialisti, in particolare gli oncologi, a valutare la prognosi nelle donne con carcinoma mammario e a scegliere il percorso terapeutico più adatto. Il principale beneficio legato a questi test è la possibilità di evitare ad alcune pazienti il trattamento di chemioterapia dopo
l’intervento chirurgico, con tutto ciò che esso comporta dal punto di vista fisico e psicologico. Gli esperti ricordano infatti che a volte le pazienti operate per tumore mammario vengono sottoposte a un trattamento adiuvante (ovvero eseguito dopo la chirurgia) a base di terapia ormonale, terapia a bersaglio molecolare, chemioterapia o a una combinazione di questi approcci, al fine di ridurre il rischio di recidiva e di decesso.

In passato i medici, per determinare il rischio di recidiva di una paziente e scegliere quindi la terapia più adatta, potevano basarsi solo su criteri clinici e sulle caratteristiche della malattia. In alcuni casi il risultato non lasciava spazio al dubbio, ma in altri casi, non potendo stabilire quale trattamento avesse le maggiori probabilità di successo, si optava spesso per “non correre rischi inutili” e somministrare anche la chemioterapia in aggiunta alla terapia ormonale.

Oggi è noto che nei tumori positivi per HER2 e triplo negativi la chemioterapia è spesso indispensabile. Per quelli in fase iniziale positivi per i recettori ormonali e negativi per HER2, l’esito dei test genomici può aiutare a chiarire alcuni dubbi e identificare le donne che hanno più probabilità di avere davvero bisogno della chemioterapia. Si possono così risparmiare il trattamento e i suoi effetti collaterali a chi invece non ne trarrebbe alcun vantaggio.

Fonte: AIRCHealth Online

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